Il Canto di Durin è una canzone intonata da Gimli nel capitolo Un viaggio nell'oscurità de Il Signore degli Anelli mentre la Compagnia si trova a Khazad-dûm o Moria, un antica citta-complesso sotterraneo di caverne e tunnel. Essa racconta la crescita, la gloria, e la caduta della sua comunità di Nani.
A Moria ci furono sei re dei Nani chiamati Durin. Il primo fu Durin il Senzamorte, che ottenne questo nome a causa della sua lunghissima vita. Egli fu l'antenato di tutto il Popolo di Durin ed il fondatore del regno di Khazad-dum. Gli altri cinque Dúrin gli somigliavano così tanto che furono considerati come sue reincarnazioni. L'ultimo verso dalla canzone parla dell'attesa settima reincarnazione.
La caduta di Khazad-dum avvenne, come spiega Gandalf, quando i Nani "scavarono troppo avidamente e troppo in profondità, risvegliando un Balrog, servo di Morgoth, che si era nascosto alle radici della montagna fin dalla fine della Prima Era. Venne in seguito chiamato il "Flagello di Durin" perché uccise Durin VI e scacciò il suo popolo dalla sua città sotterranea.
Testo della canzone[]
Giovane era il mondo, e le montagne verdi
Ancora sulla Luna macchia non era da vedervi,
Nessuna parola su fiume o rupe eretta in aria,
Quando Durin destatosi camminò in terra solitaria.
Diede nome ad anonimi colli e vallate,
Bevette da sorgive ancor mai assagiate;
Egli si chinò per guardare nel Mirolago,
E di una corona di stelle vide il contorno vago;
Parean gemme incastonate in argento,
Sulle ombre del suo bel capo intento.
Bello era il mondo, ed alti i monti ignoti,
Prima della caduta, nei Tempi Remoti,
Dei potenti re che son fuggiti via
Da Nargothrond o Gondolin che sia
Dai Mari Occidentali sull'altra sponda;
Ai tempi di Durin la terra era gioconda.
Era re su si un trono intarsiato
Fra saloni dal gran colonnato;
Sul capo i soffitti d'argento,
Su porte le rune del potere, e d'oro il pavimento.
Di sole, luna e stelle il bagliore infocato
Nei lampadari lucidi di cristallo molato,
Che sempre splendidi e imponenti brillavano,
E che mai nubi ed ombre di notte offuscavano.
Ivi colpiva l'incudine il martello,
Ivi l'incisor scriveva, ed oprava lo scalpello;
Ivi forgiata la lame ed all'elsa unita,
Ivi minator scavava e murator costruiva con fatica.
Ivi gemme perle ed opale iridescente,
E metallo lavorato come maglie di rete incandescente.
Ivi scudi e corazze, acse, spade e pugnali,
E le trombe squillavano ai cancelli.
Il popolo di Durin mai non si stancava;
Sotto le montagne la musica suonava:
Fremevano le arpe, cantavano i menestrelli,
E le trombe squillavano ai cancelli.
Il mondo è grigio e le montagne anziane,
Nelle fucine, le fredde ceneri sono del fuoco un ricordo lontano.
Nessun'arpa vibrante, nessun ritmo di martelli.
Regna l'oscurità su miniere e castelli;
Sulla tomba di Durin incombe fosca l'ombra,
A Moria, a Khazad-dûm.
Ma ancora appaiono le stelle morenti
Nel Mirolago oscuro e senza venti.
Là giace in abissi d'acque di Durin la corona,
Lì si risveglierà, quando sarà giunta l'ora.